lunedì 2 agosto 2021

Le Urlanti di Santa Maria della Vita, a Bologna

Maria Maddalena (in primo piano) e Maria di Cleofa
"Non dimenticherò mai quel Cristo. Era di terra? era di carne incorrotta? Non sapevo di che sostanza fosse. Stava supino, rigido, coi piedi eretti, incrostati di grumi risecchi, che dovean essere le grossezze del mastice messo lì a restaurare la rottura, nerastri, trafitti dal chiodo che aveva lasciato non il fóro ma quasi uno squarcio aspro. Ascoltami. Teneva distese le braccia e le mani conserte su l'anguinaia. Annerata era la faccia ma la barba era ingrommata di non so che bianchiccio.  
Infuriate dal dolore, dementate dal dolore erano le Marie. Una, presso il capezzale, tendeva la mano aperta come per non vedere il volto amato; e il grido e il singulto le contraevano la bocca, le corrugavano la fronte il mento il collo. Ascoltami. Puoi tu imaginare che cosa sia l'urlo pietrificato? Puoi tu imaginare nel mezzo della tragedia cristiana l'irruzione dell'Erinni? 
La Maddalena certo giungeva di lungi, dopo un'ora o un millennio d'ambascia, in atto di precipitarsi come su una preda agognata. Il suo amore e il suo dolore sembravano smaniosi di divorare. Un gran vento era nella sua veste: il vento delle cime inaccessibili era nella sua veste, come nei pepli delle Vittorie. Non so. Intendimi. Era una specie di Nike mostruosa, alata di lini. Le bende svolazzanti le facevano alata la testa; i lembi del manto impigliati ai gomiti le sbattevano indietro come vanni. La bocca era dilatata dall'ululo, rappresi erano gli occhi dal pianto, distorte le dita. 
E, come il tuono di rupe in rupe, il suo lutto si ripercoteva tra la Madre e Maria di Cleofa, si ripercoteva e quasi direi s'imbestiava in quella che, battendosi l'anca, battendosi la coscia, pareva sforzarsi di partorire il dolore, sforzarsi di cacciarlo come si caccia l'infante dalla matrice sanguinosa."
(G. D'Annunzio, Le faville del maglio, 1914)
C'è un luogo, a Bologna, che racchiude e conserva un gruppo di sculture rinascimentali in terracotta, realizzate a grandezza naturale con una violenta intensità drammatica, che rappresentano in modo davvero coinvolgente un tema non solo religioso ma anche umano, quello della Perdita.
Maria Maddalena
Nella chiesa barocca di Santa Maria della Vita, a pochi passi da piazza Maggiore, ha ritrovato da qualche anno la sua collocazione il gruppo di personaggi scolpiti in terracotta a grandezza naturale dallo scultore Niccolò detto "dell'Arca"

Nato probabilmente in Puglia intorno al 1435, giunse a Bologna verso il 1460 dopo aver viaggiato e vissuto a Napoli e in Francia. Nel 1462 è citato in un documento come affittuario di una bottega nei pressi di San Petronio in cui svolgeva la professione di magister  di scultura in terracotta. 

Gli vennero affidate alcune delle formelle dei finestroni sul lato est della cattedrale facendosi conoscere come valente artigiano/artista e gli fu commissionato dalla confraternita dei Battuti Bianchi, per una sconosciuta ubicazione iniziale, il gruppo di sculture del Compianto sul Cristo Morto. 

Otto personaggi a grandezza naturale - divenuti nel tempo sette perché l'ottavo, Nicodemo, modellato sulle fattezze di Giovanni II Bentivoglio allora signore di Bologna, fu distrutto nel 1506 dopo la sua estromissione dal potere da parte di papa Giulio II -  realizzati tra il 1463 e il 1490 in terracotta policroma, i cui colori con il tempo si sono purtroppo quasi del tutto perduti. 
Veduta d'insieme del gruppo scultoreo
Il tema del Compianto nasce dalla narrazione della Passione di Cristo, quando subito dopo la deposizione di Gesù dalla croce, Maria e pochi altri seguaci si trovarono a contemplare il corpo senza vita del Cristo prima della tumulazione nel sepolcro messo a disposizione da Giuseppe d'Arimatea

È il momento terribile in cui la Speranza viene spazzata via dall'orrore della Morte, è la rappresentazione dell'umana disperazione che coglie chi si trova a dover provare un dolore sconfinato: quello della perdita di un genitore, di un figlio, di un maestro, di una persona amata. L'attimo in cui si ha la consapevolezza che chi abbiamo amato, che chi ci ha così profondamente coinvolto, quella persona per cui vivevamo la nostra vita, se n'è andata per sempre.
Maria, la Madre
Molti artisti si sono cimentati con questa rappresentazione, umana e religiosa al tempo stesso. Giotto nella Cappella degli Scrovegni ne dà un primo esempio, ma l'hanno affrontata anche Sandro Botticelli, Tiziano, Lorenzo Lotto, Luca Giordano. Un Compianto simile a quello di Santa Maria della Vita si trova nella chiesa di San Satiro a Milano ad opera dello scultore Agostino Fonduli, un altro sempre coevo si trova nella chiesa napoletana di Sant'Anna dei Lombardi ad opera di Guido Mazzoni.

Confrontandola con le altre opere, quella di Nicolò - all'epoca un giovane di venticinque anni - giganteggia. È straordinaria sia per la qualità dell'esecuzione che per l'altissima intensità del sentimento che ancora oggi, a distanza di centinaia di anni dalla sua realizzazione, riesce a trasmettere. 

Davanti a queste persone letteralmente pietrificate nel loro incommensurabile dolore noi ci identifichiamo, le sentiamo nostre. E lo sconvolgimento portato dalla disperazione raggiunge il suo apice e sembra condensarsi nell'infinito grido della Maddalena, con il virtuosismo delle sue vesti sollevate da un vento invisibile e incontrollabile che sembra creare un vortice: un abisso in cui sprofonda il nostro sguardo.
Maria di Giuseppe, la Madonna e Giovanni Apostolo
Di fronte a simili capolavori che sanno parlare al nostro cuore dalla profondità di mondi e tempi lontanissimi dalla nostra esperienza, si comprende ancora una volta cosa significhi davvero l'arte. 

Il vero artista riesce a rendere tangibile l'invisibile, comprensibile l'indicibile, affrontabile l'impossibile. Come in uno specchio magico ci mostra la realtà del mondo, portandoci a capire che ogni manifestazione della vita - anche la sua fine - è comunque permeata di bellezza: una bellezza orrida, o sublime, che peraltro resta la vera sostanza del mondo che ci circonda.

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