domenica 28 marzo 2021

I grilli di Sant'Anna Vecchia in Calvana

Sant'Anna Vecchia, oggi
Non molti tra noi ricorderanno che prima del 1977 la festività dell'Ascensione si celebrava nella giornata di giovedì, esattamente quaranta giorni dopo la Pasqua. Dal 1977 è stata accorpata alla domenica successiva, in un impeto di razionalizzazione e riduzione che coinvolse diverse festività sia civiche che religiose, con la vittima più illustre, l'Epifania, reintrodotta a furor di popolo nel 1985.

Ed era un giovedì anche il 22 maggio del 1721, quando il conte pratese Giuseppe Casotti si unì alla processione di persone di ogni classe e rango che dal convento agostiniano di Sant'Anna al Podere Murato si inerpicavano su per la salita dei Cappuccini e per le mulattiere medievali del Poggio Secco, raggiungendo dapprima la Casa non ancora detta "Rossa" per discendere infine alla terrazza naturale su cui sorgeva l'antico Romitorio dove cinquecento anni prima, agli inizi del suo apostolato, aveva predicato per quindici primavere il Beato Brunetto dè Rossi, prima di scendere in Giolica e fondare il convento attuale. 

Uno degli ingressi dell'antico Romitorio
La chiesetta medievale, sebbene officiata solo di tanto in tanto, era mantenuta decorosa dal colono che viveva nella casa adiacente e che coltivava il podere gradinato che guardava verso Travalle: i frati lo avevano ottenuto in proprietà dopo annose liti trascinatesi per decenni con il Pievano di Calenzano e lo consideravano il loro luogo di origine, sacro come in effetti era da tempi immemorabili. 

Il piccolo edificio religioso, infatti, era stato costruito intorno al 1200 sui resti di strutture antichissime, quasi certamente dedicate all'adorazione di divinità pagane e a poca distanza da una grotta che si vociferava fosse uno degli ingressi degli Inferi. Tutte storie tramandate oralmente, riportate di bocca in bocca con mille variazioni fantasiose, racconti emersi dalla nebbia di un passato così lontano da sembrare fantastico.

L'interno della chiesa, oggi
Per la sua storia e per la posizione in cui si trovava la chiesetta era certamente il luogo più adatto per celebrare una ricorrenza che festeggiava l'ascesa al cielo di Nostro Signore, e infatti la partecipazione dei pratesi non era mai mancata. Insomma, l'evento e la circostanza erano certamente pii, e i Padri del convento avrebbero voluto mantenerli tali. 

Ma possiamo immaginare che il tempo fosse bello, una di quelle giornate di maggio azzurre e assolate, con la Calvana tutta verde, piena di fiori e di profumi: e la pia ascensione al Romitorio si trasformò in breve in tutt'altra questione. Racconta infatti il Casotti che

"Questi Padri, che ritengono ancora il dominio della piccola Chiesa, vanno in questa mattina ad ufiziarla con dirvi delle Messe, le quali per esser giorno festivo fanno molto comodo a chi per avanzar tempo, e andare pel fresco si riserva a sentirla lassù, fuori di che da quasi tutti si attende all'allegria, ed è speciale un divertimento di caccia che si fa ai grilli, che ognuno si ingegna di far preda, onde se ne riempie la Città, che ne gode per molti mesi il dolce trillo, tenendosi questi da chi ha inclinazione à grilli, appesi alle finestre in certe gabbie scherzose, che apposta per tal' effetto si fanno fare specialmente dà giovanotti per regalare alle loro Dame"

Biancospini in Calvana, marzo 2021
Se chiudiamo gli occhi possiamo anche noi immaginare la scena: un gran numero di persone di tutte le età e di tutte le condizioni, sparpagliate sui prati fuori dalla chiesetta che mangiavano, parlavano, ridevano, cantavano e soprattutto si adoperavano per scovare i grilli e catturarli, e portarli a casa per farli cantare nelle loro gabbiette e rinnovare nei mesi il ricordo di quella bella giornata in Calvana piena di sole e di felicità.

giovedì 18 marzo 2021

La prima "guida turistica" delle Alpi Apuane

Frontespizio dell'opera

Noi tutti, frequentatori dei poggi pratesi - iscritti e non al Club Alpino Italiano - siamo abituati a pensare a Emilio Bertini come al precursore dei moderni escursionisti che percorrono i nostri sentieri, che già nell'Ottocento prefigurò gli sviluppi del "turismo a piedi" alla scoperta delle meraviglie della natura che ci circonda.

In realtà il peraltro benemerito Bertini era solo un continuatore - seppure di notevole livello - di una tradizione di riscoperta della natura e del territorio toscano di impronta "scientifica" che si era avviata già alla fine del Settecento come effetto collaterale del Secolo dei Lumi e della Rivoluzione Francese che ne era scaturita.

Uno dei precursori di Emilio Bertini fu un carrarese, Emanuele Repetti, che nacque, terzo di dieci figli, il 3 ottobre 1776 a Carrara da Giovanni Battista - ligure originario di Chiavari - e Anna Maggini. Personaggio dai molteplici interessi fece "per campare", diremmo oggi, il farmacista. A Firenze, ovviamente, ché nella sua Carrara non c'erano sbocchi per un ingegno come il suo.

Oltre che preparare farmaci e medicamenti, Emanuele Repetti si interessava moltissimo di viaggi e geografia, tanto da pensare fin da giovane, sull'esempio degli Enciclopedisti francesi, a una sorta di Dizionario che raccogliesse tutte le notizie interessanti e anche utili della Toscana in cui viveva: e per cominciare decise di fare una prova, scrivendo dei luoghi che conosceva maggiormente. Ovvero dei monti sopra la sua Carrara, le "dirupate balze" delle Alpi Apuane.

Ritratto di Emanuele Repetti

Tra il 1813 e il 1819 compì una serie di viaggi per esplorare approfonditamente i luoghi e raccogliere spunti per la sua ricerca, che alla fine si concretizzò in un libretto di più di 200 pagine. Era incentrato prevalentemente sull'industria di maggiore importanza di quei luoghi, l'estrazione del marmo: punteggiata però di interessanti dettagli paesaggistici e di suggerimenti di visita che rendono ancora oggi l'emozione del Repetti davanti alle "sue" montagne.

L'operetta si intitolava "Sopra l'Alpe Apuana ed i marmi di Carrara: cenni di Emanuele Repetti" e fu stampata a Fiesole nel 1820, più di duecento anni fa. Ne cito un passo rivelatore:

"La profondità di quelle gole, che si succedono quasi parallele le une alle altre offre all'immaginazione l'idea di un mare tempestoso, i cui flutti sollevati rimasero impietriti. A proporzione che si discende, le pendici veggonsi coperte da una sottile crosta di marna proveniente dalla decomposizione di quella massa calcarea. Ivi principiano a trovare alimento faggi, carpini, ontani, cerri, querci etc., e nella regione inferiore selve rigogliose di castagni, quali somministrano a quelle frugali borgate il vitto per una parte dell'anno".

Il libro ricevette favorevoli recensioni sia dagli scienziati italiani che stranieri, e fu di fatto la prima opera a descrivere abbastanza compiutamente il mondo apuano, a partire dalla sua geologia e morfologia per proseguire con la sua peculiare industria marmifera ed estrattiva senza dimenticare le radici storiche dei territori. Una (quasi) guida turistica ante litteram...

Per chi volesse saperne di più - e grazie a Google - il libro è leggibile sul web liberamente e lo trovate gratuitamente qui

domenica 7 marzo 2021

Una gita in Calvana del 1596

La campagna intorno Gonfienti nel 1982

Nell'aprile del 1596 una coppia di gentiluomini a cavallo uscì dalla Porta a Mercatale per dirigersi dapprima verso la zona della Pietà - dove ancora non c'era il santuario mariano che conosciamo, costruito una ventina di anni dopo - e poi salire, seguendo le ciottolose vie medievali, alla fonte della Rimpolla e a quella che poi sarebbe diventata Casa Rossa per fermarsi al Poggio Castiglioni, dove ancora erano i resti di una piccola postazione militare, forse di origine bizantina, che in seguito dettero origine alle case coloniche che ancora oggi conosciamo.

Erano due stranieri - inglesi, per la precisione - arrivati in Toscana e in particolare a Prato per compiere una tappa di quel Grand Tour, antesignano del turismo che oggi riempie le nostre città, che allora veniva considerato come una tappa formativa indispensabile alle future classi dirigenti.

Si trattava del 5° Conte di Rutland, Roger Manners, ventenne, accompagnato dal suo precettore Robert Dallington, professore laureato a Cambridge, che allora aveva 35 anni e che in seguito sarebbe diventato piuttosto noto per aver scritto uno delle prime "guide del viaggiatore", A Method for Travel , pubblicato nel 1606.

Entrambi interessati ai "Felicissimi Stati del Serenissimo Granduca" Ferdinando I de' Medici, stavano raccogliendo notizie e impressioni sull'economia della regione, e un'escursione per vedere dall'alto i coltivi della fertile piana tra Firenze e Prato era per loro quanto mai opportuna. 

Le fonti non riportano se ebbero accompagnatori: certo, non essendoci all'epoca i sentieri del CAI e le mappe che oggi ci facilitano così tanto la vita è assai probabile che avessero delle guide e altrettanto ragionevole che le stesse fossero munite di tutto ciò che poteva servire al benessere dei due gentiluomini in questione: e quindi cibarie, bevande e stoviglie per consumare un picnic ante litteram.

Il giudizio dei due stranieri, dall'alto, risultò quanto mai lusinghiero, complice la primavera in arrivo e l'indubbia fertilità della piana sottostante. 

Nel libro da cui sono giunte a noi queste osservazioni Robert Dallington scrive: 

"Queste valli appaiono invero come giardini, sia per la piccola estensione che ciascuno possiede, sia per l'accuratezza che hanno nel coltivarli, sia per la varietà dei frutti. Saliti (...) sulla cima di una ripida collina 2 miglia circa sopra a Prato (...) non riuscimmo a distinguere nessuna parcella che superasse, secondo la nostra stima, un acro e mezzo (poco più di mezzo ettaro, N.d.T.), fatta eccezione per i pascoli del Gran Duca intorno al suo Palazzo di Poggio a Caiano; e la terra nuda e scoperta, delimitata dalle siepi verdi delle viti, offrivano insieme una gradevolissima e piacevole visione in tutto simile a quella di una scacchiera."

La necessità di far rendere al massimo questi appezzamenti di terra portava a una coltivazione quanto mai intensiva e al tempo stesso ordinata:

"La loro accuratezza nel vangare, preparare, seminare, concimare e ripulire dalle erbacce il terreno, è tale che l'accuratezza degli Olandesi nelle loro coltivazioni non regge il confronto."

I Pratesi di allora erano giustamente molto orgogliosi di questi loro possedimenti: annota infatti il Dallington, seppure con una punta di classica ironia inglese, che

"Se la buona stella eleva uno di loro al possesso di uno di questi orti, con una capannuccia (in italiano nel testo) ovvero un semplice riparo coperto di paglia, ne consegue che non lo distoglierete dal parlare della sua villa, del suo podere, della sua entrata; tanto che lo si crederebbe signore di qualche palazzo imponente, e di almeno tanta terra quanta ne può percorrere un puledro in un giorno; se poi si va a vedere si rivela non più del percorso di una giornata di una chiocciola; e la povera bestia corre il rischio di essere anche catturata per l'uso del suolo del signore: infatti chiocciole, ranocchi, istrici et similia fan parte delle delicatezze, (in italiano nel testo) le ghiottonerie italiane."

Quanto alla "scacchiera" che si presentava agli occhi dei due gentiluomini da quel poggio della Calvana era ancora quella della centuriazione romana: una "centuria" era in origine un centum heredia, un terreno quadrato ripartito in cento lotti da trasmettere in eredità delle dimensioni di circa 0,6 ettari, ed è un tipico tessuto agrario che derivava dalla pianificazione creata dai Romani circa quindici secoli prima.  

E che è riuscito a sopravvivere - seppure deturpato e stravolto dall'urbanizzazione e dall'industrializzazione - fino ai giorni nostri, altri cinquecento anni dopo quella gita su Poggio Castiglioni.

(Foto tratta da "Quaderni del Territorio Pratese" di Bardazzi e Castellani, Prato APT 1982; la traduzione della relazione di Robert Dallington è nel libro "Descrizione dello Stato del Granduca di Toscana nell'anno del Signore 1596", edizioni All'Insegna del Giglio, Firenze 1983)