domenica 7 marzo 2021

Una gita in Calvana del 1596

La campagna intorno Gonfienti nel 1982

Nell'aprile del 1596 una coppia di gentiluomini a cavallo uscì dalla Porta a Mercatale per dirigersi dapprima verso la zona della Pietà - dove ancora non c'era il santuario mariano che conosciamo, costruito una ventina di anni dopo - e poi salire, seguendo le ciottolose vie medievali, alla fonte della Rimpolla e a quella che poi sarebbe diventata Casa Rossa per fermarsi al Poggio Castiglioni, dove ancora erano i resti di una piccola postazione militare, forse di origine bizantina, che in seguito dettero origine alle case coloniche che ancora oggi conosciamo.

Erano due stranieri - inglesi, per la precisione - arrivati in Toscana e in particolare a Prato per compiere una tappa di quel Grand Tour, antesignano del turismo che oggi riempie le nostre città, che allora veniva considerato come una tappa formativa indispensabile alle future classi dirigenti.

Si trattava del 5° Conte di Rutland, Roger Manners, ventenne, accompagnato dal suo precettore Robert Dallington, professore laureato a Cambridge, che allora aveva 35 anni e che in seguito sarebbe diventato piuttosto noto per aver scritto uno delle prime "guide del viaggiatore", A Method for Travel , pubblicato nel 1606.

Entrambi interessati ai "Felicissimi Stati del Serenissimo Granduca" Ferdinando I de' Medici, stavano raccogliendo notizie e impressioni sull'economia della regione, e un'escursione per vedere dall'alto i coltivi della fertile piana tra Firenze e Prato era per loro quanto mai opportuna. 

Le fonti non riportano se ebbero accompagnatori: certo, non essendoci all'epoca i sentieri del CAI e le mappe che oggi ci facilitano così tanto la vita è assai probabile che avessero delle guide e altrettanto ragionevole che le stesse fossero munite di tutto ciò che poteva servire al benessere dei due gentiluomini in questione: e quindi cibarie, bevande e stoviglie per consumare un picnic ante litteram.

Il giudizio dei due stranieri, dall'alto, risultò quanto mai lusinghiero, complice la primavera in arrivo e l'indubbia fertilità della piana sottostante. 

Nel libro da cui sono giunte a noi queste osservazioni Robert Dallington scrive: 

"Queste valli appaiono invero come giardini, sia per la piccola estensione che ciascuno possiede, sia per l'accuratezza che hanno nel coltivarli, sia per la varietà dei frutti. Saliti (...) sulla cima di una ripida collina 2 miglia circa sopra a Prato (...) non riuscimmo a distinguere nessuna parcella che superasse, secondo la nostra stima, un acro e mezzo (poco più di mezzo ettaro, N.d.T.), fatta eccezione per i pascoli del Gran Duca intorno al suo Palazzo di Poggio a Caiano; e la terra nuda e scoperta, delimitata dalle siepi verdi delle viti, offrivano insieme una gradevolissima e piacevole visione in tutto simile a quella di una scacchiera."

La necessità di far rendere al massimo questi appezzamenti di terra portava a una coltivazione quanto mai intensiva e al tempo stesso ordinata:

"La loro accuratezza nel vangare, preparare, seminare, concimare e ripulire dalle erbacce il terreno, è tale che l'accuratezza degli Olandesi nelle loro coltivazioni non regge il confronto."

I Pratesi di allora erano giustamente molto orgogliosi di questi loro possedimenti: annota infatti il Dallington, seppure con una punta di classica ironia inglese, che

"Se la buona stella eleva uno di loro al possesso di uno di questi orti, con una capannuccia (in italiano nel testo) ovvero un semplice riparo coperto di paglia, ne consegue che non lo distoglierete dal parlare della sua villa, del suo podere, della sua entrata; tanto che lo si crederebbe signore di qualche palazzo imponente, e di almeno tanta terra quanta ne può percorrere un puledro in un giorno; se poi si va a vedere si rivela non più del percorso di una giornata di una chiocciola; e la povera bestia corre il rischio di essere anche catturata per l'uso del suolo del signore: infatti chiocciole, ranocchi, istrici et similia fan parte delle delicatezze, (in italiano nel testo) le ghiottonerie italiane."

Quanto alla "scacchiera" che si presentava agli occhi dei due gentiluomini da quel poggio della Calvana era ancora quella della centuriazione romana: una "centuria" era in origine un centum heredia, un terreno quadrato ripartito in cento lotti da trasmettere in eredità delle dimensioni di circa 0,6 ettari, ed è un tipico tessuto agrario che derivava dalla pianificazione creata dai Romani circa quindici secoli prima.  

E che è riuscito a sopravvivere - seppure deturpato e stravolto dall'urbanizzazione e dall'industrializzazione - fino ai giorni nostri, altri cinquecento anni dopo quella gita su Poggio Castiglioni.

(Foto tratta da "Quaderni del Territorio Pratese" di Bardazzi e Castellani, Prato APT 1982; la traduzione della relazione di Robert Dallington è nel libro "Descrizione dello Stato del Granduca di Toscana nell'anno del Signore 1596", edizioni All'Insegna del Giglio, Firenze 1983)

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