giovedì 20 dicembre 2018

Possedere il Destino - Un libro fotografico

"Spiritual Guards" Jan Fabre, Forte di Belvedere a Firenze

“L'art prend le chaos du monde et le transforme en conscience, 
pour permettre aux hommes de posséder leur destin”. 
André Malraux
Possedere il destino significa stabilire un legame tra l’insondabile e l’indicibile, tra quello che noi siamo e quello che significa la nostra presenza qui ora. Nel quotidiano confuso accumularsi di eventi, nella cacofonia del presente l’opera d’arte ha il valore di una frase compiuta della lingua nascosta che declina la condizione umana.
Proprio per questo a volte davanti a una creazione artistica noi ci troviamo di fronte a Qualcosa che oltrepassa il nostro punto di osservazione per abbracciare l’interezza dell’esperienza, come
"un punto tenebroso che viaggia come il pesce
nella bonaccia mattinale del mare, e tu lo scorgi:
sempre un vuoto, dovunque, con noi”. 
Le definisco epifanie, attimi in cui quello che è non è quello che sembra. Rivelazioni come monete che tintinnano in fondo a un pozzo, come falene che volano nel buio. Ciò che colpisce è che questo non avviene solo con l’arte dei grandi o di quelli reputati tali. Accade invece costantemente con tutte le opere, anche le meno considerate. 
Tutti noi partecipiamo a questo linguaggio, tutti possiamo cogliere queste epifanie perché tutti siamo partecipi della nostra condizione. Che è quella di chi si trova in questo mondo, in questo universo, in questa realtà.
Nelle foto di questa raccolta (che è anche un libro pubblicato qui) ho voluto raccogliere alcune di quelle che definisco pietre miliari. Occasioni in cui sono stato proiettato oltre il caos del quotidiano per diventare – anche solo per un attimo – consapevole del mio destino.
Sono dettagli, analogie, consonanze, sincronicità inaspettate. Le considero dei talismani e come tali voglio condividerle, nella speranza - o forse nell’illusione - che questo museo virtuale dia a chi vorrà visitarlo la stessa pienezza che ha dato a me.
Per questo vanno guardate senza filtri, cercando di cogliere il senso al di là dell'apparenza: perché se questa vita ha un senso solo l'arte sa rappresentarlo e noi solo attraverso di essa possiamo comprenderlo e viverlo.
Di seguito il link alla raccolta fotografica: Possedere il Destino

domenica 11 febbraio 2018

Cent'anni fa alla fonte della Rimpolla in Giolica di Prato

La Rimpolla, febbraio 2018
L'aveva notata, Diego, quel giorno di dicembre 1918, mentre portava lo stendardo in processione da Sant'Anna alla chiesa dei Cappuccini per la festa dell'Assunta. Minuta, i capelli lunghi e scuri raccolti in una crocchia, gli occhi grigi come un ghiaccio sottile e brillante, non era esattamente una bellezza ma aveva un'aria determinata che gli piaceva.

Anche Umberta lo aveva visto: un balenio nei suoi occhi gli aveva fatto capire che lei si era accorta di lui. E d'altronde era difficile non notare Diego. Appena tornato dalla guerra, ragazzo del '99 ferito al braccio destro - i crucchi lo avevano centrato durante un'assalto alle trincee del Piave - aveva un'aria da uomo esperto che sapeva quello che voleva e suggeriva sicurezza.

Scoprì che entrambi stavano a poca distanza l'uno dall'altro, lungo le pendici di quel Poggio Secco propaggine ultima della Calvana, un balcone sulla piana e la città di Prato. Lei figlia di un mediatore di bestiame, seconda di cinque tra fratelli e sorelle, lui orfano di padre, primo e maggiore di quattro figli con la madre - Rosa - che si arrabattava per dare a tutti un avvenire onesto.

E proprio per quel primo sguardo e per tener fede alla sua posa, quando poco tempo dopo Diego se la trovò davanti mentre prendeva l'acqua alla fonte della Rimpolla ebbe il coraggio di salutarla. Con toni formali come si usava allora, anche tra ragazzi o poco più: Umberta infatti aveva quasi 15 anni e Diego 19.

Parlarono del più e del meno: lei del lavoro che faceva in casa aiutando il padre e la madre che curavano terreni e bestiame di altri, lui delle sue future prospettive di lavoro e di vita. Da reduce aveva infatti avuto la possibilità di essere assunto nelle Ferrovie come magazziniere ed era stato destinato alla stazione di Viareggio.

Viareggio. Umberta era andata a scuola, aveva preso la licenza elementare, e sapeva che stava sul mare che lei non aveva mai visto. Un posto da signori che andavano lì a fare i bagni, pieno di donne sicuramente più belle e affascinanti di lei. Non sapeva perché, ma questa prospettiva la rattristò. Pensò che forse sarebbe stato meglio non pensare più di tanto a quel ragazzo così gentile che chissà se avrebbe mai rivisto.

Passarono alcuni mesi. Un mattino della tarda primavera del 1919 il postino che si fermava sempre dai signori della Villa Magnolfi scese fino a casa Ricasoli. "Ho una lettera per voi, signora Ebe" disse. "E per chi sarebbe?" rispose l'interessata, presa alla sprovvista e anche un po' preoccupata per l'evento inaspettato. "Per sua figlia" riferì il postino, soggiungendo con un sorriso "sopra c'è scritto "per Umbertina Ricasoli". "E da dove viene questa lettera?" si informò Ebe. "Da Viareggio", rispose il postino.
Umberta (a sinistra) con la sua famiglia e Diego (a destra, seduto col fiasco) a Poggio Castiglioni per l'Ascensione del 1929 (foto ricolorata da me)
Umberta Ricasoli e Diego Faldi si sposarono l'8 dicembre 1924 nella chiesa dei Cappuccini, d'inverno, nel periodo del riposo dal lavoro dei campi. Si amarono e si rispettarono, il loro fu un matrimonio felice in un momento storico complicato. Fecero due figli, ebbero dei nipoti, vissero la loro vita. E mi piace pensare oggi, cent'anni dopo da quella prima volta, che sono in qualche modo ancora qui, accanto a me, a sorridersi davanti a questa fonte.

giovedì 18 gennaio 2018

Santa Caterina della Notte a Siena

L'Oratorio
All'ingresso un teschio con una scritta evocativa: "Noi eravamo quello che voi siete, e quello che noi siamo voi sarete."

L'Oratorio di Santa Caterina della Notte, nei sotterranei di Santa Maria della Scala, sorge sul luogo in cui si dice pregasse la Santa ed è dedicato ai defunti.

Ci siamo stati al crepuscolo, c'era quel freddo che ti entrava nelle ossa, un freddo proprio da morti, con un silenzio umido che faceva sembrare il posto terribilmente solitario e infinitamente lontano dalla città che pure stava intorno; anche il decoro della cappella, di un barocco cupo e sovrabbondante, dava un senso di straniamento.

Immaginiamocelo di notte, officiato dai fratelli della Confraternita alla luce tremolante di torce e candele: e immaginiamo intorno, invisibili, tutti i fantasmi dei defunti che da lì erano passati per finire nel Carnaio.

Perché proprio accanto all'Oratorio c'era il cosiddetto "Carnaio" una grande fossa comune che accoglieva tutti i morti - e nel tempo furono migliaia - che non erano in grado di pagarsi una sepoltura privata.
La Voragine del Carnaio, oggi