domenica 29 agosto 2021

La Dea della Badia di Montepiano

La Badia di Santa Maria a Montepiano in autunno 
La valle "onde Bisenzo si dichina", a nord della città e della piana di Prato, storicamente non è stata una via di comunicazione di primaria importanza, tant'è che fino ai primi del Novecento non ebbe nemmeno una moderna carrozzabile che la mettesse in comunicazione con Bologna

Malgrado culminasse sul valico della Serra di Montepiano (m 750 s.l.m.), il più basso dell'Appennino Tosco-Emiliano, nei secoli le furono preferite le più ampie valli della Marina a oriente - che portava al Mugello e in Emilia attraverso la Futa - e quella dell'Ombrone a occidente, che portava a Bologna attraverso Porretta e la valle del Reno

Le valli del Setta e del Bisenzio furono messe in comunicazione con mezzi che non fossero sentieri o mulattiere solo ai primi del Novecento, e per la gran parte la strada "Maestra" della val di Bisenzio restò a fondo naturale fino a dopo la seconda guerra mondiale. Ancora nei primi anni Sessanta del Novecento la carrozzabile che collegava la valle del Bisenzio a quella del Setta era sterrata nel tratto che va da Sasseta a Castiglion de' Pepoli, e venne completamente asfaltata solo a partire dal 1962, anno di istituzione della strada statale (poi regionale) 325.

L'alto Appennino pratese dall'Alpe di Cavarzano 
L'isolamento e la scarsa densità di popolazione delle zone più alte della valle furono quindi una costante, dalle origini fino all'epoca romana e oltre. Solo con la dissoluzione dell'Impero e l'impaludamento della piana pratese nacquero nuovi insediamenti, peraltro abitati stabilmente solo a partire dall'Alto Medioevo, di popolazioni dedite ad allevamento e pastorizia, allo sfruttamento delle risorse del bosco e alla coltivazione della castagna, frutto ancora oggi profondamente legato alla tradizione della zona.

Tabernacolo lungo il torrente Setta   
In questo territorio aspro e poco abitato, quasi privo di vie di comunicazione, coperto di foreste e percorso solo dagli animali selvatici, trovarono rifugio comunità religiose di tipo eremitico, prevalentemente benedettini vallombrosani, che spesso gettarono il seme di abitati destinati a durare fino ai giorni nostri. Una di queste comunità - creata verso l'anno Mille da un "romito", il Beato Pietro i cui miracoli sono descritti negli affreschi della navata - ebbe il suo centro nella Badia di Montepiano dedicata a Santa Maria.

L'insediamento, come vari altri dello stesso genere, ebbe successo: per vari secoli la Badia accumulò possedimenti fino al Mugello e gestì anche uno Spedale, riservato ai pellegrini che si trovavano a valicare il passo della Serra. Questa relativa ricchezza si tradusse anche in edifici di una certa importanza - anche considerando il contesto in cui si trovavano - di cui il maggiore, sopravvissuto fino ad oggi, è la chiesa della Badia.

L'Orante della Badia di Montepiano 
Costruita in stile romanico a servizio del monastero da maestranze lombarde, ha un portale con una curiosa lunetta di arenaria con un bassorilievo che raffigura una donna che indossa un corto gonnellino nell'atteggiamento dell'"orante", ovvero con le braccia alzate all'altezza delle spalle, in un gesto che si può facilmente interpretare come manifestazione della preghiera.

Per quanto possa oggi suonare strano, questa immagine che ancora oggi accoglie i visitatori di questa chiesa cristiana rappresenta un retaggio del culto della Grande Madre primordiale, che partendo dalla preistoria come un filo conduttore ha attraversato tutte le religioni. Questa dea esprimeva il ciclo di nascita, sviluppo, maturità, declino, morte e rigenerazione che contraddistingue sia le vite umane, sia i cicli naturali e cosmici. Alla sua figura possiamo ricondurre anche la stessa Vergine Maria, alla quale - non a caso - la Badia è intitolata.

Oranti a Romena nel Casentino 
Rappresentazioni di questo tipo, che documentano l'incorporazione nel cristianesimo di culti così antichi da perdersi in una preistorica notte dei tempi, testimoniano la persistenza di queste credenze ancestrali che avevano la tendenza a riemergere soprattutto nelle terre isolate dell'alto Appennino. Sculture simili a questa si trovano anche nelle chiese di San Cassiano in Val di Lima, di Gròpina sul Pratomagno, di Romena nel Valdarno Superiore. Tutte raccontano di come sotto una esteriore vernice cristiana gli antichi culti della dea della terra sopravvivessero ancora.

Gli Oranti di Naquane in Val Camonica (VII millennio a.C.)  
Ancora adesso, la profusione di tabernacoli che nella periferia pratese testimoniano la devozione popolare nei confronti della Vergine Maria rappresentano una reminiscenza di questo culto, che metteva in comunicazione la terra e il cielo. La Grande Madre rappresenta la fertilità della terra che dà sostanza, che porta in sé la vera "anima mundi" e come tale rende possibile la comunicazione con lo Spirito delle divinità celesti.

Gli Oranti di San Cassiano in Controne in val di Lima 
Proprio come il seme che viene sepolto nel grembo della Terra per germogliare, farsi pianta e poi slanciarsi verso il cielo così l'uomo vive la sua stagione di vita, aiutato dalla dea nel suo cammino di rigenerazione: e il simbolo più forte di questo cammino è proprio l'Orante, con le gambe piantate nel rigoglio della Madre Terra e le braccia tese fino a toccare la volta del cielo, sede dello Spirito, in connessione con le divinità celesti, nell'atto di “prendere il cielo” e portarlo sulla terra.

L'acqua del Setta nei pressi della Badia   
L'idea della Madre Terra che presiede a questa giostra infinita di morte e rinascita su cui tutti noi - esseri viventi - facciamo un giro, stranamente mi rassicura. Mi fa pensare a quelle foto a lunga esposizione in cui l'acqua diventa un'entità nebbiosa e piumosa nel letto roccioso di un torrente. 

La Dea, la Natura che ci origina, accoglie e circonda è il letto del torrente. Noi esseri viventi siamo l'acqua: movimento e stabilità non sono antitesi, sono una cosa sola, basta saperla cogliere. Solo che l'essenziale resta invisibile agli occhi e troppo spesso noi dimentichiamo questa semplice verità.

lunedì 2 agosto 2021

Le Urlanti di Santa Maria della Vita, a Bologna

Maria Maddalena (in primo piano) e Maria di Cleofa
"Non dimenticherò mai quel Cristo. Era di terra? era di carne incorrotta? Non sapevo di che sostanza fosse. Stava supino, rigido, coi piedi eretti, incrostati di grumi risecchi, che dovean essere le grossezze del mastice messo lì a restaurare la rottura, nerastri, trafitti dal chiodo che aveva lasciato non il fóro ma quasi uno squarcio aspro. Ascoltami. Teneva distese le braccia e le mani conserte su l'anguinaia. Annerata era la faccia ma la barba era ingrommata di non so che bianchiccio.  
Infuriate dal dolore, dementate dal dolore erano le Marie. Una, presso il capezzale, tendeva la mano aperta come per non vedere il volto amato; e il grido e il singulto le contraevano la bocca, le corrugavano la fronte il mento il collo. Ascoltami. Puoi tu imaginare che cosa sia l'urlo pietrificato? Puoi tu imaginare nel mezzo della tragedia cristiana l'irruzione dell'Erinni? 
La Maddalena certo giungeva di lungi, dopo un'ora o un millennio d'ambascia, in atto di precipitarsi come su una preda agognata. Il suo amore e il suo dolore sembravano smaniosi di divorare. Un gran vento era nella sua veste: il vento delle cime inaccessibili era nella sua veste, come nei pepli delle Vittorie. Non so. Intendimi. Era una specie di Nike mostruosa, alata di lini. Le bende svolazzanti le facevano alata la testa; i lembi del manto impigliati ai gomiti le sbattevano indietro come vanni. La bocca era dilatata dall'ululo, rappresi erano gli occhi dal pianto, distorte le dita. 
E, come il tuono di rupe in rupe, il suo lutto si ripercoteva tra la Madre e Maria di Cleofa, si ripercoteva e quasi direi s'imbestiava in quella che, battendosi l'anca, battendosi la coscia, pareva sforzarsi di partorire il dolore, sforzarsi di cacciarlo come si caccia l'infante dalla matrice sanguinosa."
(G. D'Annunzio, Le faville del maglio, 1914)
C'è un luogo, a Bologna, che racchiude e conserva un gruppo di sculture rinascimentali in terracotta, realizzate a grandezza naturale con una violenta intensità drammatica, che rappresentano in modo davvero coinvolgente un tema non solo religioso ma anche umano, quello della Perdita.
Maria Maddalena
Nella chiesa barocca di Santa Maria della Vita, a pochi passi da piazza Maggiore, ha ritrovato da qualche anno la sua collocazione il gruppo di personaggi scolpiti in terracotta a grandezza naturale dallo scultore Niccolò detto "dell'Arca"

Nato probabilmente in Puglia intorno al 1435, giunse a Bologna verso il 1460 dopo aver viaggiato e vissuto a Napoli e in Francia. Nel 1462 è citato in un documento come affittuario di una bottega nei pressi di San Petronio in cui svolgeva la professione di magister  di scultura in terracotta. 

Gli vennero affidate alcune delle formelle dei finestroni sul lato est della cattedrale facendosi conoscere come valente artigiano/artista e gli fu commissionato dalla confraternita dei Battuti Bianchi, per una sconosciuta ubicazione iniziale, il gruppo di sculture del Compianto sul Cristo Morto. 

Otto personaggi a grandezza naturale - divenuti nel tempo sette perché l'ottavo, Nicodemo, modellato sulle fattezze di Giovanni II Bentivoglio allora signore di Bologna, fu distrutto nel 1506 dopo la sua estromissione dal potere da parte di papa Giulio II -  realizzati tra il 1463 e il 1490 in terracotta policroma, i cui colori con il tempo si sono purtroppo quasi del tutto perduti. 
Veduta d'insieme del gruppo scultoreo
Il tema del Compianto nasce dalla narrazione della Passione di Cristo, quando subito dopo la deposizione di Gesù dalla croce, Maria e pochi altri seguaci si trovarono a contemplare il corpo senza vita del Cristo prima della tumulazione nel sepolcro messo a disposizione da Giuseppe d'Arimatea

È il momento terribile in cui la Speranza viene spazzata via dall'orrore della Morte, è la rappresentazione dell'umana disperazione che coglie chi si trova a dover provare un dolore sconfinato: quello della perdita di un genitore, di un figlio, di un maestro, di una persona amata. L'attimo in cui si ha la consapevolezza che chi abbiamo amato, che chi ci ha così profondamente coinvolto, quella persona per cui vivevamo la nostra vita, se n'è andata per sempre.
Maria, la Madre
Molti artisti si sono cimentati con questa rappresentazione, umana e religiosa al tempo stesso. Giotto nella Cappella degli Scrovegni ne dà un primo esempio, ma l'hanno affrontata anche Sandro Botticelli, Tiziano, Lorenzo Lotto, Luca Giordano. Un Compianto simile a quello di Santa Maria della Vita si trova nella chiesa di San Satiro a Milano ad opera dello scultore Agostino Fonduli, un altro sempre coevo si trova nella chiesa napoletana di Sant'Anna dei Lombardi ad opera di Guido Mazzoni.

Confrontandola con le altre opere, quella di Nicolò - all'epoca un giovane di venticinque anni - giganteggia. È straordinaria sia per la qualità dell'esecuzione che per l'altissima intensità del sentimento che ancora oggi, a distanza di centinaia di anni dalla sua realizzazione, riesce a trasmettere. 

Davanti a queste persone letteralmente pietrificate nel loro incommensurabile dolore noi ci identifichiamo, le sentiamo nostre. E lo sconvolgimento portato dalla disperazione raggiunge il suo apice e sembra condensarsi nell'infinito grido della Maddalena, con il virtuosismo delle sue vesti sollevate da un vento invisibile e incontrollabile che sembra creare un vortice: un abisso in cui sprofonda il nostro sguardo.
Maria di Giuseppe, la Madonna e Giovanni Apostolo
Di fronte a simili capolavori che sanno parlare al nostro cuore dalla profondità di mondi e tempi lontanissimi dalla nostra esperienza, si comprende ancora una volta cosa significhi davvero l'arte. 

Il vero artista riesce a rendere tangibile l'invisibile, comprensibile l'indicibile, affrontabile l'impossibile. Come in uno specchio magico ci mostra la realtà del mondo, portandoci a capire che ogni manifestazione della vita - anche la sua fine - è comunque permeata di bellezza: una bellezza orrida, o sublime, che peraltro resta la vera sostanza del mondo che ci circonda.