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| Le casette dei monaci |
Oggi sono stato all’Eremo di Camaldoli.
È un luogo che non sembra stare nel tempo in cui viviamo. Ci arrivi attraversando la foresta del Casentino, un bosco che non fa da sfondo: ti assorbe. L’aria è più scura, più silenziosa, come se si camminasse dentro un pensiero antico.
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| L'ingresso dell'Eremo |
L’Eremo nacque attorno all’anno Mille per volontà di san Romualdo, che sosteneva una cosa semplice e radicale: per incontrare Dio bisogna prima imparare a stare soli con se stessi. Non una solitudine triste, ma una solitudine piena, attenta, scavata.
Qui le “celle” non sono stanzette.
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| L'altare di San Romualdo, nella cella |
Sono piccole case in pietra, ognuna con un minuscolo orto davanti. Ce ne sono venti, ma quasi mai nella storia sono state tutte occupate. Oggi i monaci sono pochi, circa nove, dai 35 ai 70 anni più o meno. Vivono ciascuno nella propria casetta, con lo stretto necessario: uno scaldabagno, una stufa a legna come nei secoli passati (e qui gli inverni non sono uno scherzo), una scrivania, un letto, la cappellina privata.
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| L'ingresso della cella di San Romualdo |
La vita è solitaria: si chiama eremitaggio, ed è diverso dalla clausura. La clausura è una comunità chiusa al mondo esterno, ma comunque comunità, cioè convivenza. L’eremitaggio, invece, è essere separati anche tra loro. Ci si incontra per la preghiera e per pochi momenti comuni, ma la porta della propria cella resta chiusa. Il silenzio non è un accessorio: è lo strumento.
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| Il letto di San Romualdo |
Le concessioni alla modernità sono minime, essenziali, mai invadenti: una piccola lavanderia con la lavatrice che usano a turno, un refettorio comune dove da qualche anno pranzano e cenano insieme, e una governante, che vive nella foresteria fuori dal recinto dell’Eremo. Non entra: passa il cibo, nient’altro. Per il resto, niente televisione, niente internet. Zero rumore. Zero distrazioni.
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| Badessa, la gatta dei monaci |
A mantenere il controllo dell’ordine e della misura c’è un Priore dalla disciplina ferma ma non ottusa. E a vigilare su tutto il complesso, un personaggio importante: Badessa, la gatta. Lei non fa voto di silenzio, ma di solito parla poco lo stesso. È la vera autorità morale, inutile negarlo.
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| La facciata della chiesa |
La chiesa dell’Eremo non è più quella originaria voluta da san Romualdo: andò distrutta in un incendio nel 1698. Quella attuale è una chiesa barocca, piena di stucchi, cornici, dorature — un contrasto quasi sorprendente rispetto all’essenzialità delle celle: come se il cuore fosse austero e la voce splendesse.
L’Eremo è in parte visitabile: una breve visita guidata di circa mezz’ora racconta ciò che questo luogo è oggi. Nel nostro caso, a condurla è stata una signora bravissima, capace di spiegare con semplicità perché una vita come questa, che a molti pare impossibile, per loro invece è ancora piena, viva, pensata.
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| L'interno barocco della chiesa |
Visitare l’Eremo significa sbattere contro una domanda che non sempre abbiamo voglia di farci: che cosa resta quando togli tutto? Quando non ci sono rumori, distrazioni, notifiche, discorsi, richieste?
E capisci che non si tratta di “fuga dal mondo”. È piuttosto il tentativo di sentirne finalmente il fondamento. E il silenzio, quassù, non è vuoto. È pieno fino all’orlo.
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| I boschi autunnali intorno all'Eremo |










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