mercoledì 12 novembre 2025

Il silenzio di Camaldoli

Le casette dei monaci 

Oggi sono stato all’Eremo di Camaldoli.

È un luogo che non sembra stare nel tempo in cui viviamo. Ci arrivi attraversando la foresta del Casentino, un bosco che non fa da sfondo: ti assorbe. L’aria è più scura, più silenziosa, come se si camminasse dentro un pensiero antico.

L'ingresso dell'Eremo 

L’Eremo nacque attorno all’anno Mille per volontà di san Romualdo, che sosteneva una cosa semplice e radicale: per incontrare Dio bisogna prima imparare a stare soli con se stessi. Non una solitudine triste, ma una solitudine piena, attenta, scavata.

Qui le “celle” non sono stanzette.

L'altare di San Romualdo, nella cella

Sono piccole case in pietra, ognuna con un minuscolo orto davanti. Ce ne sono venti, ma quasi mai nella storia sono state tutte occupate. Oggi i monaci sono pochi, circa nove, dai 35 ai 70 anni più o meno. Vivono ciascuno nella propria casetta, con lo stretto necessario: uno scaldabagno, una stufa a legna come nei secoli passati (e qui gli inverni non sono uno scherzo), una scrivania, un letto, la cappellina privata.

L'ingresso della cella di San Romualdo  

La vita è solitaria: si chiama eremitaggio, ed è diverso dalla clausura. La clausura è una comunità chiusa al mondo esterno, ma comunque comunità, cioè convivenza. L’eremitaggio, invece, è essere separati anche tra loro. Ci si incontra per la preghiera e per pochi momenti comuni, ma la porta della propria cella resta chiusa. Il silenzio non è un accessorio: è lo strumento.

Il letto di San Romualdo  

Le concessioni alla modernità sono minime, essenziali, mai invadenti: una piccola lavanderia con la lavatrice che usano a turno, un refettorio comune dove da qualche anno pranzano e cenano insieme, e una governante, che vive nella foresteria fuori dal recinto dell’Eremo. Non entra: passa il cibo, nient’altro. Per il resto, niente televisione, niente internet. Zero rumore. Zero distrazioni.

Badessa, la gatta dei monaci 

A mantenere il controllo dell’ordine e della misura c’è un Priore dalla disciplina ferma ma non ottusa. E a vigilare su tutto il complesso, un personaggio importante: Badessa, la gatta. Lei non fa voto di silenzio, ma di solito parla poco lo stesso. È la vera autorità morale, inutile negarlo.

La facciata della chiesa 

La chiesa dell’Eremo non è più quella originaria voluta da san Romualdo: andò distrutta in un incendio nel 1698. Quella attuale è una chiesa barocca, piena di stucchi, cornici, dorature — un contrasto quasi sorprendente rispetto all’essenzialità delle celle: come se il cuore fosse austero e la voce splendesse.

L’Eremo è in parte visitabile: una breve visita guidata di circa mezz’ora racconta ciò che questo luogo è oggi. Nel nostro caso, a condurla è stata una signora bravissima, capace di spiegare con semplicità perché una vita come questa, che a molti pare impossibile, per loro invece è ancora piena, viva, pensata.

L'interno barocco della chiesa 

Visitare l’Eremo significa sbattere contro una domanda che non sempre abbiamo voglia di farci: che cosa resta quando togli tutto? Quando non ci sono rumori, distrazioni, notifiche, discorsi, richieste?

E capisci che non si tratta di “fuga dal mondo”. È piuttosto il tentativo di sentirne finalmente il fondamento. E il silenzio, quassù, non è vuoto. È pieno fino all’orlo.

I boschi autunnali intorno all'Eremo


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