Ci sono testi che sembrano usciti dalla Toscana granducale come da un cassetto dimenticato. È il caso dei Proverbi Toscani che Giuseppe Giusti cominciò a raccogliere ben prima del 1853, quando ancora Canapone regnava e l’Italia unita era un’idea che fumava solo nelle teste più ardite. Giusti, satirico fino al midollo ma anche osservatore lucidissimo del suo popolo, aveva messo insieme negli anni una straordinaria raccolta di proverbi, modi di dire, sentenze che circolavano tra campagne, osterie, mercati, controlli di gabella e strade di terra tutte sconquassate.
La maggior parte di questi proverbi sono brevi come stilettate: un verso, un lampo, una punzecchiatura. A volte comici, a volte spietati, sempre tagliati con quella lama sottile che è la lingua toscana quando non ha voglia di far complimenti. Giusti li raccolse, li sistemò, li commentò qua e là e restituì una fotografia antropologica del popolo prima che la parola “antropologia” entrasse nei libri.
- il medico ammalato, che è già un paradosso vivente;
- il matto attizzato, forza incontrollabile;
- la femmina disperata, che rompe gli argini di ogni convenzione;
- il cane che non abbaia, che non avvisa;
- i giudici dall’opinione ballerina;
- gli speziali con ricette dubbie;
- i notai con il loro micidiale “eccetere”;
- il fatale “far quistione di notte”, precetto che oggi dovrebbe essere appeso sopra ogni chat di gruppo e ogni post di social media.
E tra gli altri c’è lei, la puttana vecchia, avvertimento fulminante. Non moralismo, ma lucidità: la professionista navigata, che non si illude più, non sbaglia più, conosce le debolezze altrui come un contabile conosce i numeri. È Machiavelli in sottoveste, ed è proprio per questo che il proverbio ti dice di starne lontano.
Questo “decalogo” è un unicum nella raccolta: lungo, ritmato, implacabile, quasi una litania laica recitata per non farsi beccare impreparati dal mondo. E più lo guardi, più capisci che non c’è psicologia, non c’è sociologia, non c’è teoria. C’è solo la realtà, nuda e toscana, che sa riconoscere i caratteri pericolosi a cento metri di distanza.
Il Granducato non c’è più, Giusti ormai è solo polvere e inchiostro, le osterie nuove si chiamano “bistrot” e gli speziali hanno la faccia dei farmacisti da banco. Eppure questo elenco di ventiquattro avvertimenti continua a guardarti come uno che ne ha viste tante e non si fa fregare da un sorriso.
Forse è questo il punto: siamo moderni solo finché non ci troviamo davanti un medico malato, un notaio con l’eccetera, o una puttana vecchia che ci squadra da capo a piedi. A quel punto la modernità svanisce, e restiamo identici ai toscani del 1853: diffidenti, un po’ furbi, un po’ ingenui… e eternamente vulnerabili alle stesse vecchie trappole.


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