La maggior parte di questi proverbi sono brevi come stilettate: un verso, un lampo, una punzecchiatura. A volte comici, a volte spietati, sempre tagliati con quella lama sottile che è la lingua toscana quando non ha voglia di far complimenti. Giusti li raccolse, li sistemò, li commentò qua e là e restituì una fotografia antropologica del popolo prima che la parola “antropologia” entrasse nei libri.
- il medico ammalato, che è già un paradosso vivente;
- il matto attizzato, forza incontrollabile;
- la femmina disperata, che rompe gli argini di ogni convenzione;
- il cane che non abbaia, che non avvisa;
- i giudici dall’opinione ballerina;
- gli speziali con ricette dubbie;
- i notai con il loro micidiale “eccetere”;
- il fatale “far quistione di notte”, precetto che oggi dovrebbe essere appeso sopra ogni chat di gruppo e ogni post di social media.
E tra gli altri c’è lei, la puttana vecchia, avvertimento fulminante. Non moralismo, ma lucidità: la professionista navigata, che non si illude più, non sbaglia più, conosce le debolezze altrui come un contabile conosce i numeri. È Machiavelli in sottoveste, ed è proprio per questo che il proverbio ti dice di starne lontano.
Questo “decalogo” è un unicum nella raccolta: lungo, ritmato, implacabile, quasi una litania laica recitata per non farsi beccare impreparati dal mondo. E più lo guardi, più capisci che non c’è psicologia, non c’è sociologia, non c’è teoria. C’è solo la realtà, nuda e toscana, che sa riconoscere i caratteri pericolosi a cento metri di distanza.
Il Granducato non c’è più, Giusti ormai è solo polvere e inchiostro, le osterie nuove si chiamano “bistrot” e gli speziali hanno la faccia dei farmacisti da banco. Eppure questo elenco di ventiquattro avvertimenti continua a guardarti come uno che ne ha viste tante e non si fa fregare da un sorriso.
Forse è questo il punto: siamo moderni solo finché non ci troviamo davanti un medico malato, un notaio con l’eccetera, o una puttana vecchia che ci squadra da capo a piedi. A quel punto la modernità svanisce, e restiamo identici ai toscani del 1853: diffidenti, un po’ furbi, un po’ ingenui… e eternamente vulnerabili alle stesse vecchie trappole.


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