mercoledì 12 maggio 2021

Gli Uomini della Neve e il ghiacciaio invisibile

Il crinale di vetta della Pania della Croce
La geografia dei monti toscani è punteggiata di toponimi che raccontano una storia sul territorio che identificano. Hanno le origini più svariate e conservano sempre una traccia delle popolazioni che li hanno creati e usati. Alcuni rivestono un significato evidente, altri invece appaiono curiosi o difficili da interpretare.

Il gruppo delle Panie, se non la più alta di certo la più eminente montagna delle Alpi Apuane, è apparso peculiare sin dai tempi più antichi a tutte le popolazioni stanziate nel suo territorio, tant'è che l'oronimo attuale che dà il nome a questo insieme di montagne deriva dall'antica radice indoeuropea "pan" - ovvero "cima, vetta" - che fu utilizzata per la prima volta dalla popolazione dei Liguri Apuani che si insediarono in quest'area geografica circa quattromila anni fa e la dominarono per oltre nove secoli.

Il lato sud della Pania o "Costa Pulita"
La Pania con i suoi 1858 metri è la quarta cima per altezza delle Apuane. Nei secoli passati era chiamata anche "Petrapana", un oronimo che raggruppava nel nome sia il richiamo al termine usato per indicare una vetta che la contrazione del latino "Petrae Apuanae" ovvero "monti degli Apuani". Dai primi anni dell'Ottocento sulla cima maggiore del gruppo è stata innalzata una croce - inizialmente di legno e dall'agosto del 1900 in metallo - che ha caratterizzato la vetta al punto da farne cambiare il toponimo in Pania della Croce, che è il nome con cui la conosciamo ancora oggi.

Per la loro posizione dominante, l'eleganza delle forme e l'interesse paesaggistico, alpinistico e geologico le Panie rappresentano la Montagna toscana nella sua forma più emozionante. Contrapposte alla costa lineare della Versilia, si innalzano separate da profonde valli dal resto delle Apuane per strapiombare nel versante sud con una impressionante bastionata calcarea, rendendosi visibili nelle giornate limpide da tutta la Toscana Nord-Occidentale. Conseguente a questa visibilità è la panoramicità della sua cima, che in condizioni ottimali permette di ammirare un panorama che va dal Monviso alle montagne della Corsica e all'Amiata.

Il versante nord, dove si trova l'altipiano della Vetricia
Queste montagne sono nate da complessi fenomeni tettonici che hanno portato all'emersione di rocce sedimentarie che inizialmente - e per decine di milioni di anni - erano sprofondate al di sotto della crosta terrestre per essere compresse e riscaldate a temperature di centinaia di gradi fino a subire una vera e propria "metamorfosi" che dai sedimenti iniziali ha prodotto i marmi, i minerali e le pietre che ben conosciamo e che contraddistinguono questa catena montuosa. 

Circa venti milioni di anni fa il movimento delle placche della crosta terrestre tra Europa e Africa ha compresso, piegato e innalzato queste rocce fino a trasformare quelli che erano fondali oceanici in affilati crinali di vette rocciose, erosi dalla pioggia e dagli eventi meteorici, tra i quali il più importante è stato certamente l'alternarsi periodico di periodi freddi e caldi, con formazione e scioglimento di coltri glaciali spesse anche centinaia di metri che nei periodi di maggiore freddo scendevano fino a valle dando al paesaggio un aspetto himalayano.

L'altopiano della Vetricia e la Borra di Canala
Il fenomeno delle glaciazioni insieme alle precipitazioni ordinarie è all'origine di una delle caratteristiche salienti del paesaggio apuano, ovvero l'erosione delle rocce carbonatiche con la conseguente nascita di numerosissime cavità, alcune delle quali molto rilevanti sia per dimensione che per estensione. Questo facilita la permanenza di neve e ghiaccio soprattutto nei versanti nord di queste vette, e la Pania in questo non fa eccezione e anzi presenta una caratteristica unica al mondo.

Proprio al di sotto della Pania della Croce e del Pizzo delle Saette ma separato dalle vette dal vallone della Borra di Canala, a una quota media di circa 1400 metri, sta l'altopiano della Vetricia, una straordinaria balconata di pietra profondamente corrosa dai fenomeni carsici che creano un paesaggio arido e sconvolto ma di notevole suggestione. La sua peculiarità è la presenza di numerose fessurazioni tettoniche che con l'erosione delle acque nei millenni hanno originato numerose cavità verticali: grotte "a pozzo" di varia dimensione, con la più ampia che le sopravanza tutte di gran lunga.

L'Abisso Revel (foto E. Lotti)
Per la profondità e le dimensioni è stata chiamata Abisso Enrico Revel, dal nome del primo speleologo che ne raggiunse il fondo nel 1931. Posizionato nella parte meridionale dell’Altopiano alla quota di poco più di 1400 metri, ha all'imboccatura una lunghezza di 60 metri, una larghezza di 10 ed una profondità verticale di oltre 300. Fino a qualche anno fa era considerata la verticale assoluta più profonda del mondo e resta ancora oggi una voragine fra le più impegnative, certamente la prima delle Apuane; prova ne è che dal 1931 ad oggi soltanto 5 spedizioni lo hanno esplorato completamente. 

Proprio in fondo all'Abisso sopravvive, invisibile da più di 10.000 anni, in attesa della prossima era glaciale, l'ultimo relitto del grande ghiacciaio che copriva millenni fa la Vetricia: alcuni metri di ghiaccio fossile, rinnovato a ogni inverno attraverso le nevicate, al riparo dagli eccessivi calori dell'estate e dall'andirivieni delle temperature stagionali.

Perché il lato nord delle Panie, grazie alle numerose spaccature, consente spesso - pur senza arrivare alla protezione offerta dall'Abisso Revel - il mantenimento di neve e ghiaccio anche durante il periodo estivo. Questo fenomeno, ben conosciuto dagli abitanti di queste zone, portò nell'Ottocento alla nascita di un vero e proprio mestiere, quello degli Uomini della Neve.

Il Passo degli Uomini della Neve
Con questo nome erano infatti conosciuti gli "spalloni" che rifornivano di ghiaccio i villeggianti versiliesi - e a volte anche gli ospedali - tra Ottocento e Novecento, prima della diffusione dei refrigeratori industriali. All'appressarsi dell'inverno questi montanari - boscaioli o pastori - allestivano le "neviere" nelle spaccature delle rocce della Vetricia, rivestendole di rami e foglie, pressandovi dentro la neve per compattarla in modo da trasformarla in ghiaccio e poi coprendola nuovamente con foglie ed erba in modo da proteggerla anche nella stagione più calda.

In estate salivano alle neviere al crepuscolo, staccavano con l'ascia i blocchi di ghiaccio e li collocavano in grandi gerle di vimini rivestite di paglia e coperte di juta per isolare i blocchi dalla temperatura esterna, se le caricavano in spalla e si incamminavano per l'aspro sentiero che passa tra la Pania della Croce e l'Uomo Morto, per scendere ripidamente alla Foce di Valli e poi a Cardoso che raggiungevano al mattino. A quel punto il ghiaccio veniva trasferito su di un barroccio per essere portato ai clienti finali e magari per diventare gelato o granita nei caffè del litorale versiliese.

Per tornare all'argomento da cui siamo partiti, tanto era il transito di questi spalloni su e giù per i sentieri delle Panie che ne è restato traccia in un toponimo. Alla quota di 1660 metri tra la Pania della Croce e l'Uomo Morto sta oggi il Passo degli Uomini della Neve: un nome curioso e poetico che racchiude in sé tutto un mondo passato  - un passato anche nostro - fatto di sacrifici e di fatica.

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