giovedì 15 maggio 2025

Sopra le nubi tossiche

Fioritura di narcisi sotto alla vetta del monte Croce 

C'è un racconto nella saga di Hyperion di Dan Simmons che non mi ha mai lasciato davvero. Il protagonista vive su un pianeta dove solo le vette delle montagne sono abitabili: le basse quote, immerse in un’atmosfera densa di fosgene, sono diventate letali. Le persone si rifugiano in alto, sopra le nubi tossiche, come se la salvezza fosse ormai confinata all’apice del mondo.

Mi è tornata in mente questa storia stamattina, camminando lungo il sentiero 109 che dall'Albergo Rifugio Alto Matanna conduce alla vetta del Monte Croce, poco più di 1300 metri. Davanti a me si apriva il profilo delle Panie, ma erano i miei passi a essere immersi in un’altra meraviglia: un'immensa fioritura di narcisi e asfodeli che ammantava prati e pendii. Un tripudio bianco e verde che sembrava una benedizione. E lì, nel silenzio profumato del mattino, ho capito che anche quella bellezza, così pura e apparente, raccontava una storia più complessa.

Panorama da sotto la vetta del monte Croce  

Le Apuane meridionali, da lontano, sembrano un rifugio incontaminato sopra una pianura ormai satura: fabbriche, capannoni, centri commerciali, asfalto, automobili, logistica. Tutti i feticci della nostra epoca. Ma questo isolamento montano non è frutto di un miracolo: è la conseguenza di scelte umane, o più spesso di non-scelte. Di abbandoni. Di economie che si sono sgonfiate, di borghi svuotati, di sentieri dimenticati. L’agricoltura di quota, la pastorizia, le attività forestali: tutte ritirate, lasciando spazio a una rinaturalizzazione che oggi ci appare “vergine” ma che, in realtà, è il volto più recente di un paesaggio plasmato per secoli dall’uomo.

A ogni passo, lungo il crinale, si incontrano le tracce di quel mondo perduto: mulattiere, muretti, terrazzamenti, ruderi di case in pietra, carbonaie ormai avvolte nel muschio. Non era wilderness. Era civiltà.

E allora quel che vediamo oggi – e che tendiamo a mitizzare come un ritorno all’eden – è in realtà un tempo sospeso. L’uomo ha sempre avuto la tendenza a mitizzare il passato e la natura, a evocare un’età dell’oro in cui tutto era armonia. Ma quella nostalgia rischia di essere un alibi.

Forse il punto non è tornare indietro, ma imparare a guardare avanti con consapevolezza. Con la stessa cura con cui i nostri nonni sistemavano un muro a secco, o tracciavano un sentiero tra le rocce. Perché anche il futuro – come le vette di Hyperion – dipenderà da dove e come decideremo di abitare.

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