venerdì 16 aprile 2021

Il deserto del Monteferrato

Matsucoccus Feytaudi 
Il Matsucoccus Feytaudi è un insetto che si nutre della linfa dei pini marittimi e che ha il suo habitat naturale nelle regioni atlantiche dell'Europa, che per loro natura presentano delle condizioni in cui questo fitofago vive in equilibrio coi pini che infesta senza recare loro danni.

Negli anni Settanta del Novecento, però, questo insetto fu "esportato" attraverso il commercio di legname, raggiungendo dapprima la Francia meridionale e poi, a partire dal 1977, la Liguria e da lì la Toscana. Nei primi anni '80 giunse sul Monteferrato, dove trovò un luogo ideale per la propria riproduzione, e stante il clima più caldo e l'assenza di predatori antagonisti ha cominciato a riprodursi in modo incontrollato fino a sterminare la popolazione di piante in cui albergava e di cui si nutriva: i pini marittimi del Monteferrato pratese.

I pini del Monteferrato furono piantati da diversi proprietari tra il 1850 e il 1890 con ottimi risultati, tant'è che le pinete hanno lentamente ricoperto nel Novecento le tre familiari "gobbe" ofiolitiche fino a far credere a noi cittadini di essere flora autoctona.

La pineta poco sotto la cima del Monte Chiesino (420 mt.)
Non si trattava di un intervento che aveva finalità estetiche. L'idea ottocentesca - adottata anche da agronomi di vaglia come il pievano di Montemurlo Raffaello Scarpettini - era quella di "mettere a coltura" tutte le terre disponibili, e quindi anche quelle del Monteferrato, per creare una piantagione di pini marittimi da cui ricavare una materia prima naturale che al tempo non aveva ancora concorrenti sintetici: la resina, da cui si si estraevano per distillazione trementina e colofonia. Anche se il terreno accidentato e poco fertile non consentì il ritorno economico sperato, i pini restarono a ingentilire le pendici dei tre poggi.

Nella sua Guida della Val di Bisenzio del 1892 così descrive il Monteferrato il fondatore del CAI di Prato, Emilio Bertini:
"Oggi tutta la pendice del monte, che dalla vetta detta il Chiesino scende sino alle Prataccia da levante e fino alla Villa Geppi da ponente, è coperta di pini: quarant’anni fa tutto era deserto e nudo. Il primo a tentare d’imboschire il monte fu il benemerito e dotto agronomo Scarpettini, Pievano a Montemurlo, che seminò la pineta dalla parte occidentale e ne ebbe subito i frutti. Poi Gaetano Benini di Prato che dopo aver piantato olivi e gelsi, da oriente, ai piè del monte, ne volle seminar di pini domestici (pinus pinea) la pendice sin quasi alla cima."

Negli anni '70 del Novecento, però, l'arrivo del Matsucoccus sconvolse un equilibrio che sembrava oramai stabilito, creando in breve vaste zone di territorio in cui i pini morivano, ridotti a scheletri, e le pietraie sottostanti riemergevano.

D'altro canto anche il Repetti nel suo Dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana del 1830 descriveva così il Monteferrato:

"Coteste pietre diasprine, che costituiscono la cornice del Monte Ferrato, precedono immediatamente quelle di serpentina diallagica e di granitone, due qualità di rocce massicce, le quali trovandosi nude di terra vegetativa, e spogliate quasi totalmente di piante, sogliono dare al monte un aspetto nerastro tendente al verde-bottiglia, specchiettato da frequenti cristalli di diallagio color di bronzo."

Ai primi dell'Ottocento e molto probabilmente anche nelle epoche precedenti, la vegetazione del Monteferrato doveva infatti essere scarsa e di basso fusto, formata prevalentemente da piante erbacee e arbustive come la stipa, la ginestra, l'aliso e l'euforbia.

Attualmente, seppure non del tutto visto che parte dei pini sembrano sufficientemente resistenti da convivere con il parassita, l'aspetto del Monteferrato si va rinaturalizzando e ritorna ad essere quello di un tempo: un affascinante "deserto" lunare di rocce magmatiche colonizzate da piante pioniere, un frammento di crosta terrestre che milioni di anni fa è stato il fondale del grande Oceano Tetide.

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