martedì 9 aprile 2019

Alla villa della Màgia, un giovedì di maggio del 1536

La fontana di Daniel Buren nel parco della Màgia
Giovedì 4 maggio 1536, Carlo d'Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Carlo V, Re di Napoli, Duca di Borgogna, Re di Spagna, Re di Sardegna e Re di Sicilia, in viaggio nei suoi domini italiani per celebrare la buona riuscita dalla sua spedizione a Tunisi contro la pirateria saracena, stava sulla collinetta dov'è oggi la grande fontana a tre colori di Daniel Buren, proprio davanti alla villa dei Panciatichi, patrizi pistoiesi che possedevano gran parte di questo territorio.

Aveva fatto tappa a Firenze dove era stato accolto con grandi celebrazioni ed era diretto verso Pistoia e Lucca per poi proseguire verso la Francia, in un complicato gioco diplomatico e militare inteso a contrastare le mire egemoniche sull'Italia del re francese Francesco I di Valois.
Carlo V d'Asburgo nel 1536 (dalla serie Gioviana)
L'impegno politico però non gli impediva di dedicarsi anche a uno dei piaceri più apprezzati dall'aristocrazia dell'epoca. Era infatti di ritorno da una battuta di caccia nei boschi del Montalbano insieme a Gualtieri Panciatichi e al primo duca di Firenze, Alessandro de' Medici, che doveva sposare tra poco una sua figlia naturale, Margherita d'Austria, e di cui quindi sarebbe diventato suocero. Gualtieri riferisce in una sua memoria che l'Imperatore quel giorno
"In tale Caccia prese Cervi, Caprioli, Porci, Lupi, Lepre, Fagiani e Starne: la quale finita, Sua Cesarea Majestà venne a riposare, e rinfrescare sé e tutta sua corte nella Magia, dove scavalcò: et oltre aver bevuto del nostro Trebbiano che da Niccolò nostro manu propria li fu porto, pose la bocca alla secchia del pozzo della Màgia e bevé per più sorsi di tale acqua: e da noi fu fatto tutto quello onore alla sua Corte, che per noi fu possibile."
La brocca di bronzo  conservata alla Màgia da cui Carlo V si dissetò
Voglio immaginare che fosse una bella giornata di sole, vento e bianche nuvole piumose, e che il corteo dei dignitari imperiali fosse vasto, rumoroso e variopinto: cavalli, corni e cani, e insegne multicolori ducali e imperiali che garrivano al sole primaverile.

La villa dove sostò Carlo V aveva - e ha - un nome apparentemente curioso: La Màgia, derivato probabilmente da maia, femminile di maius, "maggiore", da intendersi come appellativo per la villa principale della zona, e sarebbe stata acquistata anni dopo, per l'esattezza nel 1583, dal granduca Francesco I de' Medici alla non economica cifra di 6501 fiorini d'oro allo scopo di completare il "sistema" di ville medicee che presidiavano le colline del Montalbano.

Il giardino della Màgia, oggi, con lo sfondo del Montalbano
La battuta di caccia a cui aveva partecipato il trentaseienne Imperatore era stata organizzata per fargli incontrare in modo informale, al di fuori dal rigido cerimoniale di Corte, il futuro genero Alessandro de' Medici che lo aveva accolto a Firenze il 29 aprile con un suntuoso apparato scenografico, concepito da Giorgio Vasari, inteso a celebrare da un lato la grandezza dell'Impero e dall'altro la potenza di casa Medici che con l'Imperatore aveva scelto di stringere questo legame di sangue.
Alessandro de' Medici in un ritratto del Bronzino
Sappiamo bene che le unioni matrimoniali erano usate per stringere alleanze tra le famiglie nobili e più in generale come strumenti di strategia politica. Margherita d'Austria era nata il 5 luglio 1522 da un amore giovanile che Carlo d'Asburgo
 ebbe nel 1521 con Jeanne, una popolana figlia primogenita di un arazziere, che prestava servizio nel castello di Borgogna ad Audenarde nelle Fiandre.

Pur essendo figlia naturale venne subito riconosciuta dall'imperatore e accuratamente educata nell'ambito della Corte fiamminga per essere utilizzata in seguito nei calcolati movimenti delle strategie matrimoniali che ispiravano la politica imperiale. Le cronache la descrivono intelligente, acculturata - sapeva leggere e scrivere, conosceva la musica e la danza - e con una spiccata destrezza negli esercizi fisici, con particolare passione per la caccia e i cavalli.

Margherita d'Austria (ritratto di Antonio Moro)
Dopo varie ipotesi di unione con i Gonzaga e gli Este alla fine Margherita si trovò ad essere "spesa" per ricucire i rapporti tra l'imperatore e il Papa dopo il Sacco di Roma del 1527. Il Papa di quel periodo era Clemente VII de' Medici, e nel Trattato di Barcellona del 29 giugno 1529 fu stabilito da un'apposita clausola che Margherita avrebbe sposato Alessandro I de' Medici, duca di Penne e prossimo duca di Firenze. 

Ovviamente si trattava di un matrimonio "in pectore", vista l'età ancora infantile della sposa, che peraltro si trasferì in Italia nella primavera del 1533, sostando brevemente a Firenze - dove fu accolta dal promesso sposo e lungamente festeggiata - per poi dirigersi verso Napoli, dove visse per tre anni, in attesa della maturazione dei tempi delle nozze.
Un interno della villa della Màgia
Lo sposalizio venne infine fissato con la stipula di un meticoloso contratto matrimoniale che porta la data del 28 febbraio 1536. Il giorno 29 successivo - il 1536 era un anno bisestile - Alessandro le donò l'anello nuziale, in attesa di celebrare il matrimonio che si sarebbe tenuto il sabato 13 di giugno nella chiesa di San Lorenzo a Firenze.

In questo contesto politico e familiare venne perciò a collocarsi la visita di Carlo d'Asburgo, che volle così consolidare i legami tra Alessandro de' Medici - che Carlo considerava sia un parente che un suo feudatario - e l'Impero; che nella propria persona, erede di ben quattro dinastie, raggiungeva la sua massima estensione territoriale su due diversi continenti, al punto che si dice che Carlo si compiacesse di affermare che sui suoi domini "non tramontava mai il sole".

Alessandro de' Medici fu il primo duca di Firenze ed aveva anche lui una genealogia per così dire atipica: riconosciuto come figlio illegittimo del nipote di Lorenzo de' Medici, Lorenzo II duca di Urbino, anche se molti contemporanei sostengono che in realtà fosse un figlio naturale del cardinale Giulio de' Medici, il futuro papa Clemente VII, era nato da una relazione con una serva nera o mulatta molto bella, rimasta peraltro innominata, che gli aveva trasmesso in eredità un colorito di pelle molto scuro e tratti somatici africaneggianti, ben rappresentanti nei suoi ritratti realizzati dal Vasari e dal Bronzino.
Villa La Màgia, oggi (foto da InToscana)
L'incontro confidenziale alla Màgia tra Carlo e Alessandro, quindi, rappresentò per entrambi un punto di arrivo: Carlo si trovava a rafforzare col matrimonio di Margherita un predominio sulla Toscana ristabilitosi a seguito dell'assedio fiorentino del 1530, Alessandro otteneva la signoria su Firenze in modo aperto e trasmissibile per eredità ai suoi successori. Sembrava un trionfo per entrambi.

Ciò nonostante  - o forse proprio per questo appoggio che aveva ricevuto e che lo rese fin troppo sicuro del proprio potere - Alessandro de' Medici non seppe sfruttare adeguatamente la situazione. Cercò da subito di imporsi su ciò che restava delle istituzioni repubblicane fiorentine mostrandosi arrogante e autoritario, non rispettando patti e trattati e imprimendo al proprio governo un carattere "principesco" che gli alienò rapidamente le simpatie della popolazione.
La Màgia in una lunetta di Giusto Utens del 1599
Sette mesi dopo il suo matrimonio, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1537, Alessandro fu ucciso dal cugino Lorenzino de' Medici, compagno di bagordi e di avventure, nella casa di lui. Si trattò di una congiura, non si sa se ordita per motivi di risentimento personale o per uccidere un "tiranno" come ebbe poi a scrivere Lorenzino in un saggio intitolato "l'Apologia", in cui si difese dal biasimo generale per l'assassinio del cugino dichiarando d'averlo commesso poiché mosso unicamente dall'amore per la libertà.

Alessandro aveva 26 anni, Margherita 14. Lei non sarebbe restata vedova a lungo, sarebbe tornata ad essere una pedina delle strategie dinastiche di Carlo d'Asburgo, mentre lui fu sepolto, quasi nascosto e senza nemmeno una lapide, insieme ai resti del padre dichiarato, Lorenzo II duca d'Urbino, nella Sagrestia Nuova della chiesa di San Lorenzo otto mesi dopo la sua consacrazione alla Màgia. 

Sic transit gloria mundi.

sabato 23 febbraio 2019

«Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29)

La Via Dolorosa
Svenimento della Madonna

Nei pressi di Montaione, accanto al convento intitolato all'eremita San Vivaldo, il 1º di maggio del 1500, a seguito dell'insediamento dei Frati Francescani Minori, si iniziarono a costruire una serie di chiesette e cappelle che riproducevano la topografia e i luoghi santi di Gerusalemme. Da qui il nome di "Gerusalemme di Toscana".

L'ideazione del Sacro Monte fu merito dei frati, che in quel tempo erano soliti fare molti pellegrinaggi in Terra Santa, e in particolare fra' Tommaso da Firenze e fra' Cherubino Conzi, i quali costruirono prima il convento e poi 25 cappelle ricordanti le varie tappe della vita, passione e morte di Gesù Cristo, aiutati nell'impresa anche dagli abitanti del luogo che trasportarono le pietre necessarie alla costruzione dal fondo del fiume Egola.

In ogni cappella venne realizzata una scena della narrazione evangelica, con personaggi in terracotta dipinta di grande espressività e a dimensioni naturali, in modo da dare l'impressione a chi entrasse di trovarsi al centro della rappresentazione. Quasi tutte le sculture sono della bottega dei Della Robbia; molte sono dei veri capolavori di espressività.

Lo scopo della realizzazione delle cappelle era di offrire alla popolazione la possibilità di fare un pellegrinaggio "virtuale" senza andare a Gerusalemme, che in quel periodo cadeva sotto il dominio dei turchi, e senza eccessivo dispendio di denaro. Esiste infatti una bolla di papa Leone X (1516) in cui si stabilisce il riconoscimento delle cappelle e la concessione di un'indulgenza a coloro che vi fossero andati a pregare.

Fra' Tommaso da Firenze si affidò per la realizzazione topografica esclusivamente alle sue memorie, legata ai molti viaggi in oriente, a Creta e in Terra Santa, oltre ai contatti con il frate Bernardino Caimi che in quegli anni progettava il Sacro Monte di Varallo in Piemonte.

Fra' Tommaso scelse il luogo con estrema accuratezza, adottando l'orientamento astronomico di Gerusalemme e non quello locale: aveva identificato ad est del convento una valle boscosa, che rassomigliava alla valle di Giosafat; più a sud un rilievo si era ideale a rappresentare il Monte degli Ulivi; a nord, un ripiano naturale poteva rappresentare la spianata del tempio, mentre poco più in là, una collinetta, veniva a formare il Monte del Calvario.

Ancora oggi esistono 17 delle 25 cappelle costruite in origine. Il progetto originario ne prevedeva ben 34. Nel corso dei secoli alcune cappelle sono scomparse per incuria o per eventi naturali, altre invece sono state aggiunte. Resta comunque intatto il progetto di catechesi di fra' Tommaso, che era quello di avvicinare in modo tangibile la narrazione evangelica alla sensibilità popolare, perché potessero credere anche "quelli che non hanno visto".